PER GIUSTA CAUSA


COSA

Quando mi chiedono “cosa scrivi?”, la mia risposta è immediata: storie realistiche. Sono un attento osservatore della realtà che ci circonda, della cronaca, della politica. E nelle mie trame c’è sempre il desiderio di raccontare il paese com’è, con i suoi pregi e i suoi difetti. Per questo mi identificano (e mi identifico) come autore di true crime.

Di solito, la mia tecnica narrativa gira su un doppio binario. Da un lato inserisco, in modo realistico, il mondo delle forze dell’ordine e delle indagini, poi questa dinamica la innesto su una trama di fantasia.

Diciamo che scrivo fiction realistiche. D’altronde, le indagini di cui sono pieni i thriller, nella realtà non si fanno senza gli articoli del codice penale e di procedura penale. Siccome li conosco abbastanza bene, mi viene facile dire al lettore come stanno davvero le cose.

Dalle recensioni che leggo, ho capito che è proprio questo il dettaglio che piace a molti lettori, cioè la sensazione di trovarsi catapultati in una vera indagine, con le sue oggettive difficoltà, e non in un fumettone.

Dei miei romanzi, solo “La Rete Ksenofont” ha un contenuto particolarmente di fiction, mentre, al contrario, “L’ultimo indizio” è sostanzialmente il racconto autobiografico di una vera indagine che feci anni fa.

Il personaggio che ormai è diventato il mio “eroe” elettivo è il poliziotto Renzo Bruni, dello SCO. Nacque quando facevo servizio in Sardegna. Era il 2013 e pensai che, visto che praticamente scrittori proveniente dai mestieri più disparati, scrivevano di poliziotti, sarebbe stato giusto – visto che poliziotto lo ero – creare un collega cartaceo reale. Così nacque il Bruni di “Formicae”, “La Lupa”, “Gli Illegali” e “La Pioggia”.

Il personaggio ha un buon seguito di lettori, che temo non mi perdonerebbero facilmente se decidessi di sopprimerlo letterariamente.

Ovviamente non scrivo solo di sbirri. “Storia di una figlia”, per esempio, è una drammatica vicenda in cui non ci sono poliziotti, ma è piaciuta molto a chi l’ha letta.

Nel prossimo romanzo nascerà un nuovo personaggio, e anche questo non sarà un poliziotto. Spero sia accolto come è stato accolto Renzo Bruni e la sua squadra, cioè Laura Virga, Costanzo Carella, Massimo Riondino, Adriana Barbaro e Paola Franchini.

PERCHÉ

Di solito mi chiedono se sia stata la mia professione a spingermi a scrivere romanzi. La risposta secca è “no”. Invento trame di fiction da quando ero un ragazzino, per hobby.

Ho letto mucchi di romanzi e ho visto centinaia di film, ma sempre con l’occhio critico di chi cambierebbe qualcosa per migliorarli.

Diciamo che ho un DNA creativo che funziona abbastanza ancora oggi, che ragazzino purtroppo non sono più.

COME

Spiegare come scrivo sarebbe estremamente complesso, e non ci provo neanche. Anche perché, in fondo, non saprei dirlo. Infatti, non so cosa sia una lezione di scrittura narrativa, tutto quello che faccio è nato spontaneamente, facendo tesoro degli errori commessi e dei consigli degli editor. Posso però citare i miei scrittori di riferimento, quelli che, in qualche modo, sono stati una fonte di ispirazione.

A parte gli ovvi inizi adolescenziali con Ian Fleming e il suo James Bond, ho amato molto John LeCarrè e Giorgio Scerbanenco, per le loro atmosfere realistiche, livide e cupe. Ken Follett, per quella sua magica scrittura che egli stesso definisce cristallina. Se leggi Follet, ti sembra di guardare un film. Poi il Frederick Forsyth de “Il giorno dello Sciacallo” e “Il pugno di Dio”.

Forsyth mi ha influenzato nello stile deciso e nella costruzione delle trame, in cui egli alterna i punti di vista del buono e del cattivo, svelando immediatamente il nome di quest’ultimo. La suspense di Forsyth si genera non cercando di capire chi è “l’assassino”, ma cercando di capire come farà il buono a catturare il protagonista negativo. Un piccolo segreto: con questo tipo di gestione della trama, la suspense è assicurata perché il lettore resta sempre con il fiato sospeso. Certo, è difficile scrivere un libro in questo modo, ma a me piace farli così. E ai lettori piace leggerli, a quanto capisco.

Un altro mito è Ernest Hemingway, fantastico giocoliere di parole, autore di dialoghi memorabili, i migliore della letteratura: se si legge “Fiesta” lo si capisce.

Gianrico Carofiglio, maestro nel riuscire a generare emozioni raffinatissime utilizzando delle parole, come dice lui stesso, “precise”.

Stephen King, che invidio molto perché scrive come parla, una scrittura fluida e semplice che mi affascina.

Michael Connelly, che con il suo Harry Bosch ricorda la scrittura cupa di uno Scerbanenco. E Don Winslow, il maestro californiano dalla narrazione decisa, tagliente, descrittiva, emozionale. “Il Cartello” e il suo seguito “Il Confine” sono dei capolavori. Leggete, inoltre, la NY descritta da Winslow in “Corruzione”: indimenticabile.

Lo ammetto, tranne che a Ian Fleming, a tutti questi autori ho tentato di rubare qualcosa. A Scerbanenco e Le Carrè le atmosfere cupe, a Forsyth la costruzione delle trame e i colpi di scena, a Follett la narrazione adamantina che porta il lettore a interessarsi talmente alla trama da dimenticare chi l’ha scritta. A Hemingway ho tentato di rubare la scrittura visiva, cinematografica, quella che ti fa vedere le cose e non te le spiega. A King avrei voluto sgraffignare lo stile discorsivo ma, lo ammetto, non ci riesco: è troppo incredibilmente unico. Da Michael Connelly ho tentato di trasfondere un po’ del suo Bosch nel mio Bruni, e a Winslow ho cercato di fottere lo stile secco, deciso, a volte cattivo, a volte lirico.

Poi, senza neanche accorgermene, mi sono reso conto che, da tutti questi tentati furti, è scaturito un mio modo di scrivere personale che, in qualche modo, li fonde. Perciò li ringrazio, perché ormai il mio modo di narrare va in automatico.

E questo è quanto.

Besos, Pierni


PER GIUSTA CAUSA: cosa scrive lo Scrittore del Noir italiano e come e perchè | Piernicola Silvis: Prima Dirigente della Polizia di Stato e poi Questore ora Scrittore di Romanzi Noir